Ho letto oggi un commento online in cui il caso dell’ultima
(conclamata e smentita) intervista di Scalfari a Papa Francesco veniva
paragonato all’amicizia tra Pertini e Giovanni Paolo II.
Secondo questo commento, Giovanni Paolo II aveva sempre
trattato Pertini con grande amicizia senza cercare di convertirlo. Pertini
stesso avrebbe raccontato questa cosa pubblicamente dicendo, appunto, che il
Papa non aveva mai cercato di convertirlo e che lo aveva semmai lodato per la
sua onestà. Giovanni Paolo II, d’altronde, non ha mai smentito Pertini su
questi “racconti”, ma ciò naturalmente non significa che il Papa di allora non
ritenesse la fede necessaria alla salvezza. Allo stesso modo, Francesco non
avrebbe bisogno di smentire quanto riportato da Scalfari sui loro colloqui
privati. Su questa stessa linea si sono espressi anche altri commentatori in
questi giorni sostenendo, ad esempio, che Francesco non corregge Scalfari
pubblicamente perché è più interessato al rapporto di amicizia con lui che alle
verità oggettive che Scalfari trae dai loro incontri.
Personalmente, non ricordo bene quei particolari del
rapporto tra Pertini e Giovanni Paolo II, ma sembrano abbastanza plausibili e
ragionevoli. Il paragone con il caso Scalfari però è improprio e può solo
generare confusione tra due piani molto diversi l’uno dall’altro, ossia quello
della direzione spirituale del buon pastore di anime con quello delle
affermazioni veritative oggettive di chi è depositario del munus docendi.
La direzione spirituale fatta bene, in un contesto di
amicizia e fiducia, implica di dire/dare ad una persona quello che in un certo
momento ha bisogno di ascoltare/ricevere. Questo non significa dire il falso o
comportarsi in modo ambiguo ma esprimere a parole o con i fatti la verità di
quel che, nel qui e nell’ora, è bene per una certa persona.
Facciamo un esempio. Se abbiamo di fronte una persona
isterica o in preda ad una crisi di nervi per qualcosa che le sia successo,
potrebbe essere bene dirle di non pensarci. Se è una persona obesa in crisi per
le pressioni psicologiche e fisiche della dieta, potremmo doverle offrire un
gelato e invitarla a non pensare alla dieta. Questo non significa che la persona
in questione non abbia bisogno della dieta. Le due cose non sono in contrasto
l'una con l'altra ed è facile capirlo. Ricordo un amico medico che, per ragioni
analoghe, consigliò ad un paziente di ricominciare a fumare.
Molte persone non credenti potrebbero entrare in una crisi
molto negativa se sollecitate direttamente sulla fede e sul loro atteggiamento
verso Dio. Potrebbero chiudersi a riccio e perfino comportarsi peggio con se
stessi e con gli altri. Un personaggio pubblico potrebbe reagire parlando e
scrivendo male della fede e di chi crede, generando dubbi anche in molte altre
persone. Se trattato con rispetto e amicizia, invece, reagisce in genere con
altrettanto rispetto e discrezione. Nel mio piccolo, ho avuto diversi amici
atei che per rispetto e amicizia verso di me hanno sempre evitato affermazioni
ironiche o irriverenti verso il Cristianesimo.
Nel caso di tutte queste ed altre persone, la cosa migliore
è spesso farli distrarre con un bel gelato, con una sciata o con un caffè
sorseggiato in amicizia. Non bisogna mai consentire che il panno nuovo strappi
e rovini tutto il vestito. Che ci sarebbe di strano dunque se Giovanni Paolo II
non avesse cercato di “convertire” Pertini e se Francesco non cercasse di
“convertire” Scalfari? Molto diverso sarebbe invece se Giovanni Paolo II avesse
detto a Pertini che non c'è bisogno di credere per salvarsi. Questa sarebbe
un’affermazione veritativa sulla fede cristiana e non un modo pastorale (ad
personam) di trattare un amico o di fare con lui una buona direzione
spirituale.
Ora, lasciamo da parte quanto sia successo sul serio tra
Scalfari e il Papa, anche perché io non ho dubbi che, come Giovanni Paolo II
con Pertini, anche Francesco cerchi di essere per Scalfari un buon pastore. Il
dibattito di questi giorni non riguarda eventuali affermazione ad personam
fatte dal Papa a Scalfari per farlo agire, stare o pensare meglio ma alcune
presunte verità che il Papa, per ipotesi, potrebbe pensare, ad esempio,
sull’inferno o sulla “scomparsa” delle anime dopo la morte. Se nel mondo ci
sono persone, sia dentro che fuori la Chiesa, che in seguito alle “interviste”
di Scalfari vengono assalite da questo genere di dubbi, allora l’esigenza del
munus docendi deve prevalere sul solo interesse pastorale per Scalfari. Il pastore
può dedicarsi ad un’unica pecora solo quando le altre 99 sono tranquille sul
monte. Tutte le pecorelle che si disperdono meritano la stessa attenzione.
Tutte sono quell’unica pecorella.
E poi non si tratterebbe neppure di “correggere” Scalfari
nel senso negativo del termine. Un comunicato stampa, da questo punto di vista,
è una correzione di gran lunga peggiore del dire simpaticamente e direttamente
qualcosa di questo tipo: «Ringrazio l’amico Scalfari per aver riportato con
l’arte della sua penna alcune delle cose che ci siamo detti nel nostro ultimo
incontro. Volevo però chiarire che su questo punto ci siamo un po’ capiti male.
Quando ho parlato delle anime dopo la morte, infatti, intendevo dire che...».
Ecco, una correzione del genere avrebbe dato lustro a Scalfari e chiarezza a
tutto il Popolo di Dio. È stato invece il comunicato stampa a gettare Scalfari
nel discredito pubblico, facendolo attaccare da ogni parte e facendolo tacciare
di essere un giornalista disonesto che, come i peggiori manipolatori, riporta
interviste mai fatte e frasi virgolettate mai dette. Un articolo decisamente
poco interessante che ho letto ieri sosteneva che il Papa non ha bisogno di
correggere Scalfari perché è solo interessato a parlargli come amico. L’autore
pensava forse di porre in risalto l’altissimo valore dell’amicizia ma
dimenticava che “l’amico Scalfari” naviga in acque terribili da cui solo il suo
“amico Francesco” avrebbe potuto tirarlo fuori con onore. Bastavano poche
parole al posto del comunicato stampa.
Nessun dibattito simile a quello di questi giorni su Scalfari c’è mai stato sul pensiero di Giovanni Paolo II in relazione ai suoi incontri con Pertini e alla necessità della fede per la salvezza. Questo è prova del fatto che non ce n’era bisogno: cioè, che il popolo dei fedeli non ha avuto dubbi al riguardo. Bisogna infatti tenere presente che questi problemi non sono teorici ma pratici. Non riguardano le buone intenzioni. Se io come docente genero un dubbio in alcuni studenti, non posso semplicemente pensare che sia colpa loro. Il loro dubbio è un “fatto” con cui dovrò confrontarmi. Non importa quindi l’aspetto soggettivo di cosa il Papa abbia voluto dire a Scalfari e non importa quello che Scalfari ne abbia capito. Importa solamente il dubbio che di fatto hanno molti fedeli su quale sia l’effettiva opinione del Papa su alcune questioni importanti per la fede.
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