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Wednesday, April 4, 2018

Pertini e Giovanni Paolo II come Scalfari e Francesco?

Ho letto oggi un commento online in cui il caso dell’ultima (conclamata e smentita) intervista di Scalfari a Papa Francesco veniva paragonato all’amicizia tra Pertini e Giovanni Paolo II.

Secondo questo commento, Giovanni Paolo II aveva sempre trattato Pertini con grande amicizia senza cercare di convertirlo. Pertini stesso avrebbe raccontato questa cosa pubblicamente dicendo, appunto, che il Papa non aveva mai cercato di convertirlo e che lo aveva semmai lodato per la sua onestà. Giovanni Paolo II, d’altronde, non ha mai smentito Pertini su questi “racconti”, ma ciò naturalmente non significa che il Papa di allora non ritenesse la fede necessaria alla salvezza. Allo stesso modo, Francesco non avrebbe bisogno di smentire quanto riportato da Scalfari sui loro colloqui privati. Su questa stessa linea si sono espressi anche altri commentatori in questi giorni sostenendo, ad esempio, che Francesco non corregge Scalfari pubblicamente perché è più interessato al rapporto di amicizia con lui che alle verità oggettive che Scalfari trae dai loro incontri.

Personalmente, non ricordo bene quei particolari del rapporto tra Pertini e Giovanni Paolo II, ma sembrano abbastanza plausibili e ragionevoli. Il paragone con il caso Scalfari però è improprio e può solo generare confusione tra due piani molto diversi l’uno dall’altro, ossia quello della direzione spirituale del buon pastore di anime con quello delle affermazioni veritative oggettive di chi è depositario del munus docendi.

La direzione spirituale fatta bene, in un contesto di amicizia e fiducia, implica di dire/dare ad una persona quello che in un certo momento ha bisogno di ascoltare/ricevere. Questo non significa dire il falso o comportarsi in modo ambiguo ma esprimere a parole o con i fatti la verità di quel che, nel qui e nell’ora, è bene per una certa persona.

Facciamo un esempio. Se abbiamo di fronte una persona isterica o in preda ad una crisi di nervi per qualcosa che le sia successo, potrebbe essere bene dirle di non pensarci. Se è una persona obesa in crisi per le pressioni psicologiche e fisiche della dieta, potremmo doverle offrire un gelato e invitarla a non pensare alla dieta. Questo non significa che la persona in questione non abbia bisogno della dieta. Le due cose non sono in contrasto l'una con l'altra ed è facile capirlo. Ricordo un amico medico che, per ragioni analoghe, consigliò ad un paziente di ricominciare a fumare.

Molte persone non credenti potrebbero entrare in una crisi molto negativa se sollecitate direttamente sulla fede e sul loro atteggiamento verso Dio. Potrebbero chiudersi a riccio e perfino comportarsi peggio con se stessi e con gli altri. Un personaggio pubblico potrebbe reagire parlando e scrivendo male della fede e di chi crede, generando dubbi anche in molte altre persone. Se trattato con rispetto e amicizia, invece, reagisce in genere con altrettanto rispetto e discrezione. Nel mio piccolo, ho avuto diversi amici atei che per rispetto e amicizia verso di me hanno sempre evitato affermazioni ironiche o irriverenti verso il Cristianesimo. 

Nel caso di tutte queste ed altre persone, la cosa migliore è spesso farli distrarre con un bel gelato, con una sciata o con un caffè sorseggiato in amicizia. Non bisogna mai consentire che il panno nuovo strappi e rovini tutto il vestito. Che ci sarebbe di strano dunque se Giovanni Paolo II non avesse cercato di “convertire” Pertini e se Francesco non cercasse di “convertire” Scalfari? Molto diverso sarebbe invece se Giovanni Paolo II avesse detto a Pertini che non c'è bisogno di credere per salvarsi. Questa sarebbe un’affermazione veritativa sulla fede cristiana e non un modo pastorale (ad personam) di trattare un amico o di fare con lui una buona direzione spirituale.

Ora, lasciamo da parte quanto sia successo sul serio tra Scalfari e il Papa, anche perché io non ho dubbi che, come Giovanni Paolo II con Pertini, anche Francesco cerchi di essere per Scalfari un buon pastore. Il dibattito di questi giorni non riguarda eventuali affermazione ad personam fatte dal Papa a Scalfari per farlo agire, stare o pensare meglio ma alcune presunte verità che il Papa, per ipotesi, potrebbe pensare, ad esempio, sull’inferno o sulla “scomparsa” delle anime dopo la morte. Se nel mondo ci sono persone, sia dentro che fuori la Chiesa, che in seguito alle “interviste” di Scalfari vengono assalite da questo genere di dubbi, allora l’esigenza del munus docendi deve prevalere sul solo interesse pastorale per Scalfari. Il pastore può dedicarsi ad un’unica pecora solo quando le altre 99 sono tranquille sul monte. Tutte le pecorelle che si disperdono meritano la stessa attenzione. Tutte sono quell’unica pecorella.

E poi non si tratterebbe neppure di “correggere” Scalfari nel senso negativo del termine. Un comunicato stampa, da questo punto di vista, è una correzione di gran lunga peggiore del dire simpaticamente e direttamente qualcosa di questo tipo: «Ringrazio l’amico Scalfari per aver riportato con l’arte della sua penna alcune delle cose che ci siamo detti nel nostro ultimo incontro. Volevo però chiarire che su questo punto ci siamo un po’ capiti male. Quando ho parlato delle anime dopo la morte, infatti, intendevo dire che...». Ecco, una correzione del genere avrebbe dato lustro a Scalfari e chiarezza a tutto il Popolo di Dio. È stato invece il comunicato stampa a gettare Scalfari nel discredito pubblico, facendolo attaccare da ogni parte e facendolo tacciare di essere un giornalista disonesto che, come i peggiori manipolatori, riporta interviste mai fatte e frasi virgolettate mai dette. Un articolo decisamente poco interessante che ho letto ieri sosteneva che il Papa non ha bisogno di correggere Scalfari perché è solo interessato a parlargli come amico. L’autore pensava forse di porre in risalto l’altissimo valore dell’amicizia ma dimenticava che “l’amico Scalfari” naviga in acque terribili da cui solo il suo “amico Francesco” avrebbe potuto tirarlo fuori con onore. Bastavano poche parole al posto del comunicato stampa. 

Nessun dibattito simile a quello di questi giorni su Scalfari c’è mai stato sul pensiero di Giovanni Paolo II in relazione ai suoi incontri con Pertini e alla necessità della fede per la salvezza. Questo è prova del fatto che non ce n’era bisogno: cioè, che il popolo dei fedeli non ha avuto dubbi al riguardo. Bisogna infatti tenere presente che questi problemi non sono teorici ma pratici. Non riguardano le buone intenzioni. Se io come docente genero un dubbio in alcuni studenti, non posso semplicemente pensare che sia colpa loro. Il loro dubbio è un “fatto” con cui dovrò confrontarmi. Non importa quindi l’aspetto soggettivo di cosa il Papa abbia voluto dire a Scalfari e non importa quello che Scalfari ne abbia capito. Importa solamente il dubbio che di fatto hanno molti fedeli su quale sia l’effettiva opinione del Papa su alcune questioni importanti per la fede.

Friday, March 30, 2018

“Metodo Scalfari” e “Metodo vaticano”

Trovo di pessimo gusto il modo in cui tante persone stanno trattando Eugenio Scalfari in questi giorni per difendere il Papa. Io Scalfari non l'ho mai sopportato e non gli ho mai dato due lire. Sono sempre stato coerente in questo. Tuttavia, bisogna riconoscere che il Papa lo ha elevato già da qualche anno ad un rango non indifferente di amico e di giornalista prediletto con cui avere scambi epistolari pubblici e a cui rilasciare interviste e dichiarazioni.

Ho appena letto un commento che parla con disprezzo malcelato del “metodo Scalfari”. Mi è sembrato subito di tornare indietro nel tempo a quel primo ottobre del 2013 in cui Scalfari pubblicò la sua prima intervista a Papa Francesco: intervista che fu presto riproposta anche sul sito del Vaticano e sull’Osservatore Romano.

Poi scoppiò la polemica per alcune affermazioni specifiche che comparivano in bocca al Papa in quella intervista. Si disse allora (lo fece ufficialmente Padre Lombardi, portavoce del Vaticano) che l’intervista era “attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni” e che non era un’intervista tradizionale ma più la ricostruzione di un colloquio. Scalfari si difese dicendo che il Papa gli aveva addirittura detto che si fidava di lui e non aveva neppure bisogno di leggere o correggere quanto avrebbe scritto. Disse anche di aver sottoposto preventivamente il testo al Papa e di aver ricevuto l’autorizzazione alla pubblicazione da parte della segreteria del Pontefice. Fatto sta che l’acuirsi delle polemiche portò infine a cancellare, il 15 novembre, dal sito del Vaticano il testo dell’intervista.

Non so se questo possa definirsi il “metodo Scalfari”. So solo che eravamo nel 2013 e che a luglio del 2017 Il Papa telefonò a Scalfari per salutarlo e per invitarlo a vedersi. Ne venne fuori un’altra intervista che Scalfari pubblicò l’8 luglio 2017. Non ricordo alcuna polemica speciale che seguì a quest’altra intervista e non sono certo del “metodo” con cui fu fatta. Quello che so per certo è che il Papa non ha mai sconfessato o criticato Scalfari per il suo presunto “metodo” ed ha anzi continuato a trattarlo come amico e giornalista prediletto.

Siamo sicuri quindi che attaccare Scalfari faccia piacere a Papa Francesco? I fatti dicono il contrario. Nonostante tutta l’antipatia personale che io nutro verso Scalfari, non riesco a credere che lui adesso ripaghi le attenzioni privilegiate ricevute in questi anni dal Papa inventandosi di sana pianta un’intervista fasulla e pubblicandola sapendo di mentire spudoratamente sul contenuto di essa. Se ciò fosse vero determinerebbe ipso facto la fine dell’amicizia e dell’idillio. Sarebbe del tutto irragionevole per Scalfari comportarsi così, se non altro per motivi utilitaristici. L’idillio col Papa lo sta arricchendo moltissimo e ne ha fatto una personalità internazionale di primo piano. Il Papa lo ha messo su di un podio eccezionale, altissimo e pieno d’oro, perché suicidarsi gettandosi di sotto?

D’altronde, se davvero Scalfari avesse fatto una cosa del genere, il Papa avrebbe dovuto subito sconfessarlo direttamente e con nettezza. Il comunicato stampa ufficiale di smentita è invece scritto con la massima arte della diplomazia. Eccolo qui:

«Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista. Quanto riferito dall’autore nell’articolo odierno è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre».

Cerchiamo di definire il “metodo Scalfari” alla luce di questo comunicato:
  1. È un metodo che implica di trasformare in un’intervista pubblicabile un colloquio che non era, almeno inizialmente, inteso a ciò: un metodo simile a quello usato nelle precedenti interviste.
  2. È un metodo che implica di mettere tra virgolette parole del Papa sulla base dei ricordi di Scalfari e non di registrazioni o trascrizioni fedeli: lo stesso metodo usato per le precedenti interviste.
  3. È un metodo che implica la ricostruzione del dialogo ad opera dell’intervistatore: lo stesso metodo usato nelle precedenti interviste.

Il “metodo del comunicato ufficiale” è invece quello di
  1. negare che ci sia stata una formale intervista;
  2. negare che le frasi citate siano state letteralmente pronunciate dal Papa o che ne siano una fedele trascrizione; e
  3. ribadire che il testo dell’intervista è frutto di una “ricostruzione” operata da Scalfari.

In altre parole, il “metodo del comunicato ufficiale vaticano” è di prendere le distanze senza dire nulla sulla verità o meno dei contenuti dell’intervista.

Ora, io non so davvero in che senso si possa parlare di “metodi” in questa e in simili vicende. Che ci sia o meno un metodo Scalfari, è certo però che il Papa ne è stato uno degli artefici. Se di metodo si vuole parlare, allora dovremmo chiamarlo il metodo Scalfari-Bergoglio. È inutile prendersela solo con Scalfari se il Papa per anni ne ha accettato e incentivato l’operato. Fin da piccolo, io sono stato abituato a dare maggiore responsabilità ai più grandi e potenti. Ma insomma, che cosa ci si aspetta da un giornalista se gli telefona il Papa o se il Papa lo invita ad andare a salutarlo e prendersi un caffè insieme? Tutti noi staremmo attenti come lupi se dovessimo vederci in privato con un giornalista. Figuriamoci se fossimo il leader politico e religioso più importante al mondo e dovessimo incontrare un giornalista di fama come Scalfari. Il punto è che se qualcosa di male viene fuori da un incontro del genere, è una forte ingiustizia prendersela solamente e esclusivamente con il pesce piccolo.

L’etica cristiana, in generale, dovrebbe avere sempre un occhio di riguardo per i più piccoli e i più deboli. Per questo io non ho grande stima di chi in questi giorni si scaglia contro Scalfari o lo deride per difendere Francesco. Per ciò non posso che turarmi il naso, chiudere gli occhi, chiedere a mio padre di non rivoltarsi nella tomba, e spezzare una lancia in favore di uno dei nemici di sempre di casa Di Blasi: Eugenio Scalfari. Sì, è possibile che in questa vicenda Scalfari non abbia mentito spudoratamente, che il suo “metodo” sia un metodo (almeno in parte) condiviso, e che la domanda su cosa in effetti pensi il Papa sulle questioni toccate nell’intervista sia ragionevole, lecita e doverosa. 

Annichilimento, inferno e "scomparsa" delle anime

La recente intervista al Papa pubblicata da Scalfari (di cui purtroppo sono stati smentiti i riferimenti letterali ma non i contenuti) ha creato in molti dubbi e confusione sul concetto di "scomparsa delle anime", che in termini tecnici si chiama "annichilimento" come concetto opposto a "creazione".

"Creazione" indica il fare esistere qualcosa che prima semplicemente non c'era. La creazione è dal nulla, non è un semplice modificare una cosa che già esisteva. Prima della statua c'era il marmo. Prima della creazione del marmo non c'era nulla. Annichilire non significa soltanto spostare la statua o distruggerla, ma porla nel nulla. Una cosa che, naturalmente, potrebbe fare solo Dio.

Nella famigerata intervista, in parte smentita, il Papa parrebbe dire che le anime dei peccatori che non si convertono (o non si pentono) non vanno all'inferno ma "spariscono".

A parte il fatto che non è chiaro che cosa significhi dire che le anime si pentano. Chi si pente è la persona mentre è pienamente tale in questa vita: cioè, prima della morte. Secondo la dottrina cristiana, infatti, non ci si può pentire dopo la morte. L'anima separata dal corpo non si può pentire ma è già definitivamente determinata al bene o al male che ha scelto nella vita terrena.

Nella migliore delle ipotesi, quindi, il Papa potrebbe aver voluto dire che le anime delle persone che, in questa vita terrena, non si sono pentite del male commesso scompaiono. Nella peggiore, il Papa potrebbe aver (forse inavvertitamente) negato l'intera dottrina cattolica sul giudizio finale e i novissimi.

Per capire quello che intendo, si leggano questi pochi stralci del Catechismo della Chiesa Cattolica:

«1021 La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf 2Tm 1,9-10 ]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf Lc 16,22 ] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf Lc 23,43 ] così come altri testi del Nuovo Testamento [Cf 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; Eb 12,23 ] parlano di una sorte ultima dell'anima [Cf Mt 16,26 ] che può essere diversa per le une e per le altre».

«1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [Cf Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid., 1820] o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid., 990] oppure si dannerà immediatamente per sempre [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002]».

«1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” ( 1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12; Ap 22,4 ]».

«1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo».

«1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna” ( 1Gv 3,15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”».

Di passi simili se ne potrebbero trovare tanti, ma il concetto di fondo è chiaro: la morte segna il tempo ultimo per la conversione della persona. Le anime separate dal corpo, dopo la morte, non si potranno più "pentire".

A parte questo, dicevo, è ancora meno chiaro che cosa abbia potuto intendere il Papa (sempre che poi non smentisca di averlo detto a Scalfari) con il concetto di "scomparsa delle anime".

Ho letto in un commento di un amico che avrebbe potuto voler semplicemente intendere che queste anime "scompaiono" dalla presenza di Dio, nel senso opposto all'essere in Paradiso al "cospetto" di Dio. Per quanto mi commuovano questi tentativi di salvare a tutti i costi quello che dice il Papa, non credo che questa sia un'interpretazione attendibile di quella intervista, soprattutto perché il concetto incriminato viene espresso nel contesto della negazione dell'inferno.

L'interpretazione più plausibile è invece che il Papa abbia inteso dire che questa anime "scompaiono" dalla creazione precisamente nel senso dell'annichilimento.

Ho letto da poco in un altro commento che questo concetto sarebbe in contraddizione con quello dell'immortalità dell'anima. Questo è un errore filosofico. L'immortalità dell'anima attiene alla modalità di esistenza della natura spirituale. In poche parole, la morte è un evento che riguarda la natura corporea e che consiste nella separazione tra la materia di cui è composto un vivente e la forma che organizza e tiene insieme questa materia. Quando la forma (anima) si separa, la materia vivente rimane priva del proprio principio organizzatore e unificatore e decade o si decompone. Questo è vero per qualsiasi essere vivente. La differenza con l'uomo è che la forma che vivifica il corpo umano ha natura spirituale. Pertanto, al momento della separazione o della morte, tale forma spirituale (a differenza di quelle della mucca o dell'albero) non scompare ma continua ad esistere separata dal corpo (che si decompone).

Immortalità dell'anima spirituale significa che la natura della forma dell'essere umano è tale (cioè, spirituale) che non può cessare di esistere dopo la separazione dal corpo. L'immortalità dell'anima spirituale, in altre parole, è il modo di funzionamento di un particolare ente che Dio ha creato.

Come parlare e discutere di matematica sono contraddittori con la natura dell'asino, o come esistere nello stato gassoso è contraddittorio con la natura della pietra e del legno (ma non dell'acqua), così smettere di esistere al momento della separazione dal corpo è contraddittorio rispetto alla natura della forma spirituale. Tuttavia, non è contraddittorio con la natura di alcuna di queste entità che Dio le faccia smettere di esistere. Smettere di esistere, infatti, proprio come il suo contrario (la creazione) non è un passaggio da un modo di essere ad un altro che debba rispettare il modo di essere originario della cosa. Affinché bruci nel momento B, il materiale deve essere combustibile nel momento A. Smettere di esistere però non è un momento o un passaggio da A a B e non ha nulla a che vedere con la condizione di esistenza in cui versa un certo ente.

Il concetto di "scomparsa" delle anime non è quindi in contraddizione con quello di immortalità dell'anima. E' invece in contraddizione con la sapienza e onnipotenza di Dio. L'idea che Dio ponga nel nulla qualcosa che ha creato implica infatti che, in qualche modo o in una certa misura, Egli riconosca di aver commesso uno sbaglio. "Ho creato qualcosa, ma non ha funzionato, quindi la elimino". Questa idea è in effetti contraddittoria. Se Dio è onnipotente e sa tutto, sa anche che cosa farà una certa persona che crea. Sa che noi faremo tanti peccati ma li accetta in vista del bene superiore che deriva dalla nostra esistenza. Per questo ci crea, perché il bene che viene dall'essere è superiore a quello che seguirebbe al nostro non essere.

Inoltre, il concetto di annichilimento di un'anima implicherebbe una valanga di contraddizioni successive e concatenate. Che cosa significherebbe infatti annichilire l'anima? L'annichilimento, come la creazione, è fuori dal tempo e dallo spazio. Annichilire l'anima significherebbe che tutto quel che quell'anima ha fatto e significato (unita o separata dal corpo) verrebbe automaticamente posto nel nulla. Dio dovrebbe quindi cambiare la storia umana in tutte quelle cose ed eventi che si siano in qualche maniera intrecciati all'esistenza di quella anima o persona. Parenti, figli, account e post su internet, attività lavorativa, messaggi e telefonate: tutto verrebbe posto nel nulla come se non fosse mai esistito. Dio dovrebbe quindi riconoscere di aver fatto un errore grosso e variegato nella stessa storia del mondo e dovrebbe andarla a epurare e cambiare come un regista distratto va a cambiare o togliere alcune scene girate per un film. Che confusione!

L'inferno è diverso dall'annichilimento delle anime. Non è un errore di Dio. L'inferno è l'accettazione da parte di Dio di un male minore in vista del bene maggiore della libertà umana e della Redenzione operata da Cristo.

Libertà e Redenzione implicano necessariamente che la libertà venga utilizzata male da alcuni e che la Redenzione non possa avvenire negando tale libertà. Se la Redenzione avvenisse senza pentimento o in contrasto con esso allora non riguarderebbe più l'essere umano libero. Sarebbe una redenzione per schiavi, che è in effetti un concetto contraddittorio. Se Dio ci ha voluti liberi non può poi determinarci al bene contro la nostra volontà senza negare quello stesso modo di esistenza che aveva voluto per noi. L'inferno è quindi prova e conferma della bontà della creazione di un essere libero e del disegno amorevole della Redenzione.

Forse (mi piace pensarlo) chiarire questi concetti è uno dei beni maggiori per i quali Dio ha permesso il male di quella famigerata intervista con Scalfari.

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