Friday, March 30, 2018

Saggezza antica e facezia tomista: ritornare a ieri per rilanciare il domani!

Recensione al mio ultimo libro Saggezza antica e facezia tomista apparsa su "La Croce Quotidiano" e su "Croce Via"

“Metodo Scalfari” e “Metodo vaticano”

Trovo di pessimo gusto il modo in cui tante persone stanno trattando Eugenio Scalfari in questi giorni per difendere il Papa. Io Scalfari non l'ho mai sopportato e non gli ho mai dato due lire. Sono sempre stato coerente in questo. Tuttavia, bisogna riconoscere che il Papa lo ha elevato già da qualche anno ad un rango non indifferente di amico e di giornalista prediletto con cui avere scambi epistolari pubblici e a cui rilasciare interviste e dichiarazioni.

Ho appena letto un commento che parla con disprezzo malcelato del “metodo Scalfari”. Mi è sembrato subito di tornare indietro nel tempo a quel primo ottobre del 2013 in cui Scalfari pubblicò la sua prima intervista a Papa Francesco: intervista che fu presto riproposta anche sul sito del Vaticano e sull’Osservatore Romano.

Poi scoppiò la polemica per alcune affermazioni specifiche che comparivano in bocca al Papa in quella intervista. Si disse allora (lo fece ufficialmente Padre Lombardi, portavoce del Vaticano) che l’intervista era “attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni” e che non era un’intervista tradizionale ma più la ricostruzione di un colloquio. Scalfari si difese dicendo che il Papa gli aveva addirittura detto che si fidava di lui e non aveva neppure bisogno di leggere o correggere quanto avrebbe scritto. Disse anche di aver sottoposto preventivamente il testo al Papa e di aver ricevuto l’autorizzazione alla pubblicazione da parte della segreteria del Pontefice. Fatto sta che l’acuirsi delle polemiche portò infine a cancellare, il 15 novembre, dal sito del Vaticano il testo dell’intervista.

Non so se questo possa definirsi il “metodo Scalfari”. So solo che eravamo nel 2013 e che a luglio del 2017 Il Papa telefonò a Scalfari per salutarlo e per invitarlo a vedersi. Ne venne fuori un’altra intervista che Scalfari pubblicò l’8 luglio 2017. Non ricordo alcuna polemica speciale che seguì a quest’altra intervista e non sono certo del “metodo” con cui fu fatta. Quello che so per certo è che il Papa non ha mai sconfessato o criticato Scalfari per il suo presunto “metodo” ed ha anzi continuato a trattarlo come amico e giornalista prediletto.

Siamo sicuri quindi che attaccare Scalfari faccia piacere a Papa Francesco? I fatti dicono il contrario. Nonostante tutta l’antipatia personale che io nutro verso Scalfari, non riesco a credere che lui adesso ripaghi le attenzioni privilegiate ricevute in questi anni dal Papa inventandosi di sana pianta un’intervista fasulla e pubblicandola sapendo di mentire spudoratamente sul contenuto di essa. Se ciò fosse vero determinerebbe ipso facto la fine dell’amicizia e dell’idillio. Sarebbe del tutto irragionevole per Scalfari comportarsi così, se non altro per motivi utilitaristici. L’idillio col Papa lo sta arricchendo moltissimo e ne ha fatto una personalità internazionale di primo piano. Il Papa lo ha messo su di un podio eccezionale, altissimo e pieno d’oro, perché suicidarsi gettandosi di sotto?

D’altronde, se davvero Scalfari avesse fatto una cosa del genere, il Papa avrebbe dovuto subito sconfessarlo direttamente e con nettezza. Il comunicato stampa ufficiale di smentita è invece scritto con la massima arte della diplomazia. Eccolo qui:

«Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista. Quanto riferito dall’autore nell’articolo odierno è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre».

Cerchiamo di definire il “metodo Scalfari” alla luce di questo comunicato:
  1. È un metodo che implica di trasformare in un’intervista pubblicabile un colloquio che non era, almeno inizialmente, inteso a ciò: un metodo simile a quello usato nelle precedenti interviste.
  2. È un metodo che implica di mettere tra virgolette parole del Papa sulla base dei ricordi di Scalfari e non di registrazioni o trascrizioni fedeli: lo stesso metodo usato per le precedenti interviste.
  3. È un metodo che implica la ricostruzione del dialogo ad opera dell’intervistatore: lo stesso metodo usato nelle precedenti interviste.

Il “metodo del comunicato ufficiale” è invece quello di
  1. negare che ci sia stata una formale intervista;
  2. negare che le frasi citate siano state letteralmente pronunciate dal Papa o che ne siano una fedele trascrizione; e
  3. ribadire che il testo dell’intervista è frutto di una “ricostruzione” operata da Scalfari.

In altre parole, il “metodo del comunicato ufficiale vaticano” è di prendere le distanze senza dire nulla sulla verità o meno dei contenuti dell’intervista.

Ora, io non so davvero in che senso si possa parlare di “metodi” in questa e in simili vicende. Che ci sia o meno un metodo Scalfari, è certo però che il Papa ne è stato uno degli artefici. Se di metodo si vuole parlare, allora dovremmo chiamarlo il metodo Scalfari-Bergoglio. È inutile prendersela solo con Scalfari se il Papa per anni ne ha accettato e incentivato l’operato. Fin da piccolo, io sono stato abituato a dare maggiore responsabilità ai più grandi e potenti. Ma insomma, che cosa ci si aspetta da un giornalista se gli telefona il Papa o se il Papa lo invita ad andare a salutarlo e prendersi un caffè insieme? Tutti noi staremmo attenti come lupi se dovessimo vederci in privato con un giornalista. Figuriamoci se fossimo il leader politico e religioso più importante al mondo e dovessimo incontrare un giornalista di fama come Scalfari. Il punto è che se qualcosa di male viene fuori da un incontro del genere, è una forte ingiustizia prendersela solamente e esclusivamente con il pesce piccolo.

L’etica cristiana, in generale, dovrebbe avere sempre un occhio di riguardo per i più piccoli e i più deboli. Per questo io non ho grande stima di chi in questi giorni si scaglia contro Scalfari o lo deride per difendere Francesco. Per ciò non posso che turarmi il naso, chiudere gli occhi, chiedere a mio padre di non rivoltarsi nella tomba, e spezzare una lancia in favore di uno dei nemici di sempre di casa Di Blasi: Eugenio Scalfari. Sì, è possibile che in questa vicenda Scalfari non abbia mentito spudoratamente, che il suo “metodo” sia un metodo (almeno in parte) condiviso, e che la domanda su cosa in effetti pensi il Papa sulle questioni toccate nell’intervista sia ragionevole, lecita e doverosa. 

Annichilimento, inferno e "scomparsa" delle anime

La recente intervista al Papa pubblicata da Scalfari (di cui purtroppo sono stati smentiti i riferimenti letterali ma non i contenuti) ha creato in molti dubbi e confusione sul concetto di "scomparsa delle anime", che in termini tecnici si chiama "annichilimento" come concetto opposto a "creazione".

"Creazione" indica il fare esistere qualcosa che prima semplicemente non c'era. La creazione è dal nulla, non è un semplice modificare una cosa che già esisteva. Prima della statua c'era il marmo. Prima della creazione del marmo non c'era nulla. Annichilire non significa soltanto spostare la statua o distruggerla, ma porla nel nulla. Una cosa che, naturalmente, potrebbe fare solo Dio.

Nella famigerata intervista, in parte smentita, il Papa parrebbe dire che le anime dei peccatori che non si convertono (o non si pentono) non vanno all'inferno ma "spariscono".

A parte il fatto che non è chiaro che cosa significhi dire che le anime si pentano. Chi si pente è la persona mentre è pienamente tale in questa vita: cioè, prima della morte. Secondo la dottrina cristiana, infatti, non ci si può pentire dopo la morte. L'anima separata dal corpo non si può pentire ma è già definitivamente determinata al bene o al male che ha scelto nella vita terrena.

Nella migliore delle ipotesi, quindi, il Papa potrebbe aver voluto dire che le anime delle persone che, in questa vita terrena, non si sono pentite del male commesso scompaiono. Nella peggiore, il Papa potrebbe aver (forse inavvertitamente) negato l'intera dottrina cattolica sul giudizio finale e i novissimi.

Per capire quello che intendo, si leggano questi pochi stralci del Catechismo della Chiesa Cattolica:

«1021 La morte pone fine alla vita dell'uomo come tempo aperto all'accoglienza o al rifiuto della grazia divina apparsa in Cristo [Cf 2Tm 1,9-10 ]. Il Nuovo Testamento parla del giudizio principalmente nella prospettiva dell'incontro finale con Cristo alla sua seconda venuta, ma afferma anche, a più riprese, l'immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede. La parabola del povero Lazzaro [Cf Lc 16,22 ] e la parola detta da Cristo in croce al buon ladrone [Cf Lc 23,43 ] così come altri testi del Nuovo Testamento [Cf 2Cor 5,8; Fil 1,23; Eb 9,27; Eb 12,23 ] parlano di una sorte ultima dell'anima [Cf Mt 16,26 ] che può essere diversa per le une e per le altre».

«1022 Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, [Cf Concilio di Lione II: Denz.-Schönm., 857-858; Concilio di Firenze II: ibid., 1304-1306; Concilio di Trento: ibid., 1820] o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1000-1001; Giovanni XXII, Bolla Ne super his: ibid., 990] oppure si dannerà immediatamente per sempre [Cf Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus: Denz.-Schönm., 1002]».

«1023 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio e che sono perfettamente purificati, vivono per sempre con Cristo. Sono per sempre simili a Dio, perché lo vedono “così come egli è” ( 1Gv 3,2), faccia a faccia: [Cf 1Cor 13,12; Ap 22,4 ]».

«1030 Coloro che muoiono nella grazia e nell'amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo».

«1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna” ( 1Gv 3,15). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”».

Di passi simili se ne potrebbero trovare tanti, ma il concetto di fondo è chiaro: la morte segna il tempo ultimo per la conversione della persona. Le anime separate dal corpo, dopo la morte, non si potranno più "pentire".

A parte questo, dicevo, è ancora meno chiaro che cosa abbia potuto intendere il Papa (sempre che poi non smentisca di averlo detto a Scalfari) con il concetto di "scomparsa delle anime".

Ho letto in un commento di un amico che avrebbe potuto voler semplicemente intendere che queste anime "scompaiono" dalla presenza di Dio, nel senso opposto all'essere in Paradiso al "cospetto" di Dio. Per quanto mi commuovano questi tentativi di salvare a tutti i costi quello che dice il Papa, non credo che questa sia un'interpretazione attendibile di quella intervista, soprattutto perché il concetto incriminato viene espresso nel contesto della negazione dell'inferno.

L'interpretazione più plausibile è invece che il Papa abbia inteso dire che questa anime "scompaiono" dalla creazione precisamente nel senso dell'annichilimento.

Ho letto da poco in un altro commento che questo concetto sarebbe in contraddizione con quello dell'immortalità dell'anima. Questo è un errore filosofico. L'immortalità dell'anima attiene alla modalità di esistenza della natura spirituale. In poche parole, la morte è un evento che riguarda la natura corporea e che consiste nella separazione tra la materia di cui è composto un vivente e la forma che organizza e tiene insieme questa materia. Quando la forma (anima) si separa, la materia vivente rimane priva del proprio principio organizzatore e unificatore e decade o si decompone. Questo è vero per qualsiasi essere vivente. La differenza con l'uomo è che la forma che vivifica il corpo umano ha natura spirituale. Pertanto, al momento della separazione o della morte, tale forma spirituale (a differenza di quelle della mucca o dell'albero) non scompare ma continua ad esistere separata dal corpo (che si decompone).

Immortalità dell'anima spirituale significa che la natura della forma dell'essere umano è tale (cioè, spirituale) che non può cessare di esistere dopo la separazione dal corpo. L'immortalità dell'anima spirituale, in altre parole, è il modo di funzionamento di un particolare ente che Dio ha creato.

Come parlare e discutere di matematica sono contraddittori con la natura dell'asino, o come esistere nello stato gassoso è contraddittorio con la natura della pietra e del legno (ma non dell'acqua), così smettere di esistere al momento della separazione dal corpo è contraddittorio rispetto alla natura della forma spirituale. Tuttavia, non è contraddittorio con la natura di alcuna di queste entità che Dio le faccia smettere di esistere. Smettere di esistere, infatti, proprio come il suo contrario (la creazione) non è un passaggio da un modo di essere ad un altro che debba rispettare il modo di essere originario della cosa. Affinché bruci nel momento B, il materiale deve essere combustibile nel momento A. Smettere di esistere però non è un momento o un passaggio da A a B e non ha nulla a che vedere con la condizione di esistenza in cui versa un certo ente.

Il concetto di "scomparsa" delle anime non è quindi in contraddizione con quello di immortalità dell'anima. E' invece in contraddizione con la sapienza e onnipotenza di Dio. L'idea che Dio ponga nel nulla qualcosa che ha creato implica infatti che, in qualche modo o in una certa misura, Egli riconosca di aver commesso uno sbaglio. "Ho creato qualcosa, ma non ha funzionato, quindi la elimino". Questa idea è in effetti contraddittoria. Se Dio è onnipotente e sa tutto, sa anche che cosa farà una certa persona che crea. Sa che noi faremo tanti peccati ma li accetta in vista del bene superiore che deriva dalla nostra esistenza. Per questo ci crea, perché il bene che viene dall'essere è superiore a quello che seguirebbe al nostro non essere.

Inoltre, il concetto di annichilimento di un'anima implicherebbe una valanga di contraddizioni successive e concatenate. Che cosa significherebbe infatti annichilire l'anima? L'annichilimento, come la creazione, è fuori dal tempo e dallo spazio. Annichilire l'anima significherebbe che tutto quel che quell'anima ha fatto e significato (unita o separata dal corpo) verrebbe automaticamente posto nel nulla. Dio dovrebbe quindi cambiare la storia umana in tutte quelle cose ed eventi che si siano in qualche maniera intrecciati all'esistenza di quella anima o persona. Parenti, figli, account e post su internet, attività lavorativa, messaggi e telefonate: tutto verrebbe posto nel nulla come se non fosse mai esistito. Dio dovrebbe quindi riconoscere di aver fatto un errore grosso e variegato nella stessa storia del mondo e dovrebbe andarla a epurare e cambiare come un regista distratto va a cambiare o togliere alcune scene girate per un film. Che confusione!

L'inferno è diverso dall'annichilimento delle anime. Non è un errore di Dio. L'inferno è l'accettazione da parte di Dio di un male minore in vista del bene maggiore della libertà umana e della Redenzione operata da Cristo.

Libertà e Redenzione implicano necessariamente che la libertà venga utilizzata male da alcuni e che la Redenzione non possa avvenire negando tale libertà. Se la Redenzione avvenisse senza pentimento o in contrasto con esso allora non riguarderebbe più l'essere umano libero. Sarebbe una redenzione per schiavi, che è in effetti un concetto contraddittorio. Se Dio ci ha voluti liberi non può poi determinarci al bene contro la nostra volontà senza negare quello stesso modo di esistenza che aveva voluto per noi. L'inferno è quindi prova e conferma della bontà della creazione di un essere libero e del disegno amorevole della Redenzione.

Forse (mi piace pensarlo) chiarire questi concetti è uno dei beni maggiori per i quali Dio ha permesso il male di quella famigerata intervista con Scalfari.

Thursday, March 29, 2018

Ancora Scalfari e ancora smentite

Rispunta il tormentone delle interviste di Scalfari a Papa Francesco, il quale, dalle poche notizie apparse sui giornali, avrebbe detto cose abbastanza sconclusionate sulla "scomparsa" delle anime dei peccatori e sull'energia dell'universo.

Il comunicato stampa di smentita dal Vaticano questa volta non si è fatto attendere. Eppure, a parte il fatto che ormai dei comunicati stampa non ci si può più fidare tanto, c'è da chiedersi in che modo questo comunicato possa essere ritenuto una smentita. In esso, non si entra minimamente nel merito delle presunte affermazioni. Si dice solo che le parole tra virgolette riportate da Scalfari non sono citazioni. Non mi stupirebbe che Scalfari se ne uscisse prima o poi con la registrazione della conversazione. Ad ogni modo, questo comunicato stampa genera ancor più il dubbio che, in fondo, quelle cose o cose molto simili a quelle il Papa le abbia effettivamente dette. Speriamo di no.

Questo è il testo che ho trovato online dell'intervista:

"La creazione, la caduta e la salvezza. L'Europa, l'Africa e il Sudamerica. La modernità e le sue contraddizioni. La religione e i suoi rapporti con i laici. La politica e la morale. Nella settimana santa Bergoglio dialoga a tutto campo con il fondatore di "Repubblica"

(Eugenio Scalfari) Questa è la settimana  di passione secondo  la storia cristiana, che tocca il suo culmine con l’ultima  cena, il tradimento di Giuda, l’arresto di Gesù, il colloquio con Pilato e poi la crocifissione, la morte e il suono a distesa delle campane in tutte le chiese del mondo dove si festeggia il resurrexit. Così si conclude la storia di tre anni di predicazione del figlio di Maria e di Giuseppe della tribù di David,  che in tre anni ha fondato una religione che in qualche modo continua quella ebraica della Bibbia,   ma con nuovi principi che in quei tre anni hanno gettato il seme di una rivoluzione religiosa, ma  anche sociale e politica nel bene e nel male, nel peccato e nel perdono, nei delitti e nella  misericordia.

Martedì pomeriggio ho incontrato papa Francesco su suo invito al pianoterra del palazzo di Santa  Marta in Vaticano, dove il Papa vive e riceve gli amici. Ho il privilegio di essergli amico. Ci siamo  incontrati cinque volte: in una di queste ero con tutta la mia famiglia. Le altre quattro abbiamo  parlato di tutto. Un non credente e il Papa, vescovo di Roma sul seggio di Pietro e ispirato  soprattutto dalle lettere di Paolo, che trasformò il cristianesimo in una religione destinata ad essere  la più seguita, insieme a quella musulmana, con la quale Francesco ha cercato e cerca ancora la  fratellanza in nome di un Dio Unico al quale tutte le religioni debbono ispirarsi.

Ci telefoniamo spesso, il Papa ed io, per scambiarci notizie l’uno dell’altro, ma qualche volta ci  ritroviamo di nuovo insieme e parliamo a lungo. Di religione e di politica. 

Questa, dicevo, è la settimana chiamata della “passione”. Gesù e i suoi dodici apostoli arrivano a Gerusalemme accolti da una folla festante, la stessa che,  dopo l’interrogatorio con Pilato, sarà chiamata a dire chi merita d’essere liberato tra Cristo e  Barabba, che è già nelle galere romane di Gerusalemme.

Gesù non è ancora stato arrestato e decide di avviarsi verso il giardino chiamato Getsemani seguito  dagli apostoli, li ferma e dice loro di aspettarlo. S’inoltra in quel giardino dove a un certo punto è  completamente solo, si rivolge al Padre e dice: «Se vuoi e puoi, non farmi bere questo calice amaro, ma se non vuoi lo berrò fino in fondo».

Non ottiene alcuna risposta e comprende che il Padre non lo salverà. Nel frattempo, guidati da  Giuda, arrivano le guardie e i legionari inviati dai sommi sacerdoti che prendono Gesù e lo portano  in tribunale. Di lì, dopo avere ascoltato anche il parere dei massimi sacerdoti di Gerusalemme, la  sentenza della crocifissione è definitiva e si svolge come sappiamo sulla collina del Golgota. Tutto  questo, chiedo a papa Francesco, deriva dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, dal  loro esilio sulla terra dove da allora viviamo?

Quindi la creazione non è quella splendidamente dipinta da Michelangelo sul soffitto della Sistina,  ma avviene quando Dio vede che Adamo ed Eva avevano ceduto alle lusinghe di un diavolo  serpente, e hanno infranto l’unico divieto che gli era stato posto. La vera creazione dunque è nella  loro cacciata dal Paradiso terrestre, è quella la creazione?

Francesco ascolta questa mia domanda e poi mi risponde in modo completamente diverso da quello  che di solito viene raccontato. «La creazione – mi dice – non si compie in questo modo descritto. Il  Creatore, cioè il Dio nell’alto dei cieli, ha creato l’universo intero e soprattutto l’energia che è lo  strumento con il quale il nostro Signore ha creato la terra, le montagne, il mare, le stelle, le galassie  e le nature viventi e perfino le particelle e gli atomi e le diverse specie che la natura divina ha messo in vita. Ciascuna specie dura migliaia o forse miliardi di anni, ma poi scompare. L’energia ha fatto  esplodere l’universo che di tanto in tanto si modifica. Nuove specie sostituiscono quelle che sono  scomparse ed è il Dio creatore che regola questa alternanza».

Santità, nel nostro precedente incontro lei mi disse che la nostra specie ad un certo punto  scomparirà e Dio sempre dal suo seme creativo creerà altre specie. Lei non mi ha mai parlato  di anime che sono morte nel peccato e vanno all’inferno per scontarlo in eterno. Lei mi ha  parlato invece di anime buone e ammesse alla contemplazione di Dio. Ma le anime cattive?  Dove vengono punite?

«Non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle  anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate  scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici». 

Santità, lei, Papa o Vescovo di Roma come preferisce chiamarsi, si occupa anche di politica?

«Lei intende di politica religiosa?».

Santità, la politica è politica, si occupa del genere umano. Per un Papa ha sempre un carattere religioso, ma non soltanto. Del resto lei mi ha sempre detto che in una Chiesa che cerca  d’incontrarsi con la modernità – e lei si è assunto questo compito – come il Concilio Vaticano  II ha prescritto, la politica è al tempo stesso religiosa e laica. Lei da quando segue con  attenzione i suoi doveri riconosce la modernità come un traguardo da raggiungere. Da dove  parte questo chiarimento?

«Storicamente direi che la modernità parte da un punto di vista ateo e culturale da Michel de  Montaigne. Una lettura quasi necessaria. L’inizio dell’Illuminismo è Montaigne. Poi continua fino a Kant attraverso una serie di passaggi che naturalmente non si fermano a lui. Ma il confine della  modernità che io considero non spetta a me indagarlo, comunque è bene conoscerlo. Il  rappresentante della cristianità deve fare attenzione ad altri problemi. Per esempio all’educazione  dei giovani. In certi casi cercano di lavorare e fanno bene, ma lavorare non è sufficiente, il lavoro va incoraggiato, ma insieme ad esso c’è un altro sentimento altrettanto necessario e forse ancora più  importante: il sentimento di amore verso il prossimo, la propria famiglia, la propria città. Insisto  soprattutto sull’amore verso il prossimo. La Chiesa si estende ad una santità civile e cristiana nel  senso più ampio. La religione per me è di grande importanza, ma sono consapevole che il senso  religioso lo si può avere in casa anche senza praticarlo. Oppure si pratica una religione ma soltanto  nei suoi rituali e non con il cuore e con l’anima. Se devo dire dove oggi è più forte la religiosità  indicherei le masse di popoli del Sudamerica, delle pianure dell’America del Nord, l’Oceania e la  fascia dell’Africa da est a ovest. L’Africa è un continente agitato e tormentato, va molto aiutato. È  da lì che sono partite le masse di schiavi con il loro carico di sofferenza».

E l’Europa, Santità?

«L’Europa deve rafforzarsi, politicamente e moralmente. Ci sono anche qui molti poveri e molti  immigrati. Abbiamo detto di voler conoscere la modernità pure nelle sue cadute. L’Europa è un  continente che per secoli ha combattuto guerre, rivoluzioni, rivalità e odio, perfino nella Chiesa. Ma è stata anche una terra dove la religiosità raggiunse il suo massimo e proprio per questo io ho  assunto il nome di Francesco: quello è uno dei grandi esempi della Chiesa che va compreso e  imitato».

Lei, Santità, si ricorderà che io spesso, quando scrivo di lei, la chiamo rivoluzionario.

«Sì, lo so ed è una parola che mi onora nel senso in cui la dice. Lei, per quanto so, compie gli anni  tra pochi giorni. Le faccio molti auguri e vediamoci di nuovo presto».

Mi ha accompagnato fino al portone, ci siamo abbracciati davanti a due guardie svizzere irrigidite  sull’attenti e poi lui ha aspettato che la macchina partisse lanciandomi un bacio con le dita al quale  nello stesso modo ho risposto. Tornando a casa mi sono inconsapevolmente venute in mente le frasi  di Salvini, Berlusconi, Renzi e Di Maio e mi ha preso un senso di profonda tristezza. Sabato dovrò  occuparmi di loro, ma la sciolta delle campane mi farà pensare all’uomo Gesù di Nazareth. Un uomo e non più che un uomo. Qualcuno che a lui pensa e gli somiglia c’è nella società dei nostri tempi. La politica purtroppo è ridotta al caso. Rimpiango i tempi di Platone. Se noi fossimo come  lui; ma purtroppo non c’è speranza."

La filosofia non è difficile: si inizia con L'Uomo Ragno

Intervista di Tommaso Scandroglio a Fulvio Di Blasi su"Saggezza antica e facezia tomista" apparsa su La Nuova Bussola Quotidiana.

Seconda Edizione di "Ritorno al Diritto"


"C’è da essere grati a Fulvio Di Blasi per questo coraggioso volumetto. Una piccola grande opera, vivamente consigliabile ai giovani (e agli aspiranti) giuristi, ai professionisti che cercano il senso di ciò che fanno, e a tutti i tecnici la cui coscienza coincide con la norma positiva, con l’ordine professionale, con la corporazione accademica, o con il potente di turno.

Questo libro si legge d’un fiato, perché avvincente nei contenuti e concreto; ma richiede al contempo di essere meditato, perché sfida mentalità radicate e, anche per questo, troppo comode. Non è una esagerazione dire che Di Blasi intende suscitare una vera e propria conversione giuridica: un “ritorno al diritto”, come dice il titolo. Un percorso ostacolato però da “miti e leggende”, che occorre conoscere, ma che occorre anche provare al fuoco della loro effettiva tenuta razionale" 

(Iustitia)

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Wednesday, March 28, 2018

Viganò: tre occasioni sprecate


Alcuni interventi che ho appena letto, incluso l’ultimo editoriale di Riccardo Cascioli, “Viganò si dimette, ma niente scuse a Benedetto XVI”, mi hanno spinto a rileggere con attenzione la lettera di dimissioni di Viganò e quella di risposta del Papa in cui esse vengono accettate.
La mia prima preoccupazione è stata di cercare di trovarvi qualche traccia etica: vale a dire, qualche elemento da cui emergesse un lavorio positivo della coscienza morale rispetto agli eventi che hanno portato a quelle due lettere. La mia mentalità da esperto di filosofia morale mi porta infatti ad un approccio piuttosto semplice alla questione: se si ricopre un incarico di responsabilità e non si hanno motivi personali fisiologici per lasciarlo (come l’opportunità di cambiare lavoro o un trasferimento familiare), ci si dimette solo se si è fatto qualcosa di grave (cioè, per colpa) o se si reputa di non essere all’altezza di tale incarico (cioè, per incapacità). Altrimenti, se sottoposti ad attacchi e critiche ingiuste, e anche a costo di apparire impopolari, il senso di responsabilità e le virtù personali porteranno semmai ad impegnarsi ancora di più in quell’incarico. Le avversità fortificano le persone virtuose nelle loro decisioni. Le accuse ingiuste non portano a rinunciare ai propri impegni ma a portarli a compimento con maggiore determinazione. Le dimissioni (quelle etiche) sono invece un umile ammissione di colpa o di incapacità.
Ci sono anche dimissioni non etiche. Me ne vengono in mente due tipi. Uno è quello di chi si dimette sotto il peso delle pressioni dei critici o dell’opinione pubblica. Queste dimissioni sono un atto di vigliaccheria o di debolezza, e possono essere positive perché fanno sì che persone codarde o deboli lascino i posti di responsabilità a gente più virtuosa. L’altro è quello utilitarista o machiavellico, di chi si dimette per un calcolo (più o meno sofisticato) di vantaggi che, per ipotesi, dovrebbero seguire alle dimissioni. Queste dimissioni sono viste in genere come un atto di “buona comunicazione”: cioè, sono un atto che tende a modificare in positivo l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Proprio perché frutto di un mero calcolo utilitarista, queste dimissioni non sono in genere accompagnate da alcun pentimento o riconoscimento di colpa e spesso, come suggerisce Cascioli, sono frutto di un accordo tra i soggetti coinvolti.
Sono queste le tracce etiche che cercavo. Mi sono chiesto se fosse davvero possibile che le due lettere relative alle dimissioni non contenessero alcun giudizio etico di condanna per il modo in cui sono stati trattati Benedetto XVI, la sua lettera “riservata personale” e l’opinione pubblica. Purtroppo, con mio sommo dispiacere, non ho trovato alcuna di queste tracce etiche in quello scambio. Non ho trovato neanche tracce di vigliaccheria. Ho invece trovato molte tracce di machiavellismo comunicativo.
Questa è un’occasione “comunicativa” sprecata perché la migliore comunicazione è quella semplice e vera: quella, cioè, da cui i lettori capiscono di avere di fronte persone che riconoscono i propri sbagli, che proprio per questo sono affidabili, e che dimostrano di agire con lo stesso buon senso di chi era rimasto dispiaciuto, perplesso, scandalizzato o offeso di fronte agli eventi incriminati. Chi ha la forza di dire «Ho sbagliato», «Scusate», merita fiducia e merita anche una seconda chance. Chiedere scusa è un’energia dirompente in grado di abbattere ed eliminare subito la barriera tra chi ha offeso e chi è stato offeso. L’operazione machiavellica, invece, lascia quella barriera intatta e addirittura la rinsalda perché rende manifesto che tra i due lati dell’operazione comunicativa ci sono logiche e giochi di potere completamente diversi.
La vera occasione sprecata, però, è quella etica. Il buon senso della reazione pubblica alla manipolazione della lettera di Benedetto XVI avrebbe dovuto portare le coscienze dei soggetti interessati, e quella di Viganò in prima persona, a condannare quanto era stato fatto piuttosto che a cercare di nasconderlo. A volte questi sono peccati di ingenuità. Tutti possiamo facilmente immaginare le tentazioni di chi lavora a quel livello di comunicazioni per un’istituzione come la Santa Sede. I comunicatori sono le prime vittime dell’opinione pubblica. Il peccato più grande dei comunicatori, sotto questo profilo, è quello di preferire l’apparire alla verità: cioè, di preferire il successo nel veicolare favorevolmente l’opinione pubblica verso se stessi o le proprie istituzioni alla verità di quel che viene comunicato. Nonostante la tentazione dell’apparire sia così forte in questi ambiti lavorativi, alle persone virtuose, specialmente se cristiane, dovrebbero subito cadere le squame dagli occhi quando la verità viene a galla. È il peccatore che merita la Redenzione, sempre che riconosca il proprio peccato e si penta. Il peccatore pentito merita anche l’elogio di tutti noi (peccatori) e dell’opinione pubblica (peccatrice spesso della peggiore specie).
È questa quindi la vera occasione sprecata. Quanto sarebbe cresciuto Viganò in statura etica, di fronte a Dio e di fronte a tutti noi, se avesse detto semplicemente: «Sono profondamente addolorato per quanto ho fatto. Spinto da una certa ingenuità nel difendere o promuovere il Santo Padre, ho ingiustamente divulgato una lettera privata di Benedetto XVI alterandone il significato. Ciò facendo, ho offeso, non solo Benedetto XVI, a cui per primo vanno le mie più profonde scuse, ma anche l’opinione pubblica e perfino Papa Francesco». Una lettera di dimissioni scritta secondo questo stile avrebbe quasi certamente dovuto essere rifiutata perché il peccatore pentito è più affidabile di chiunque altro e merita quasi sempre una seconda occasione. Peccato.
La terza occasione sprecata è quella della leadership, che, se vogliamo, è un’applicazione contemporanea della vecchia virtù morale della prudenza politica. Quel che ho detto delle dimissioni, infatti, vale anche per chi deve decidere se accettarle o meno. Più un leader è grande più è lui che deve guidare gli altri al bene piuttosto che lasciare che siano gli altri a guidarlo. Leader è appunto colui che guida o dirige altre persone. Un leader non dovrebbe mai accettare le dimissioni di un dirigente che aveva precedentemente nominato se costui è “innocente” e “capace”. Anche nella lettera di Papa Francesco ho quindi cercato invano motivi etici in grado di giustificare l’accettazione delle dimissioni di Viganò. L’unica cosa che emerge è invece che i motivi per accettarle sono gli stessi “motivi comunicativi” che caratterizzano la lettera di Viganò. L’unica preoccupazione di entrambi è l’opinione pubblica.
Anche qui, cerchiamo di semplificare l’approccio etico alla questione. Che cosa avrebbe richiesto la virtù della leadership di fronte alla lettera di Viganò? Posto che egli non appare pentito, ci sono soltanto due alternative concettuali che dipendono dalla possibile (ed opposta) valutazione etica dei fatti. Se si riconosce che l’uso della lettera di Benedetto XVI è stato eticamente sbagliato, le dimissioni andavano accettate per il semplice fatto che Viganò, non capendolo, ha dimostrato di non essere adatto ad agire e comunicare correttamente in conformità alla morale cattolica. In questo caso, però, l’accettazione delle dimissioni andava fatta senza edulcorarne il significato e l’efficacia con lodi ed altri incarichi. Se invece si ritiene che l’uso della lettera sia stato legittimo ma solo frainteso dall’opinione pubblica, le dimissioni andavano respinte confermando piena fiducia nell’operato del proprio dirigente. Anche qui, purtroppo, si è scelta invece la terza via. Non si è riconosciuta alcuna mancanza etica, ma in modo poco chiaro sono state accettate le dimissioni di Viganò pur lodandolo e volendolo mantenere alla guida della propria macchina comunicativa. Una tale scelta rafforza la barriera comunicativa tra il Vaticano e la gente, anche se, all’apparenza di alcuni, ha sgonfiato l’attenzione momentanea dei mass media sulla vicenda. Speriamo che in futuro, splendide occasioni di redenzione come questa non vadano più sprecate.
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La lettera di Viganò e la risposta del Papa:

Secretaria Pro Communicatione

Città del Vaticano, 19 marzo 2018

Padre Santo,

in questi ultimi giorni si sono sollevate molte polemiche circa il mio operato che, al di là delle intenzioni, destabilizza il complesso e grande lavoro di riforma che Lei mi ha affidato nel giugno del 2015 e che vede ora, grazie al contributo di moltissime persone a partire dal personale, compiere il tratto finale.

La ringrazio per l'accompagnamento paterno e saldo che mi ha offerto con generosità in questo tempo e per la rinnovata stima che ha voluto manifestarmi anche nel nostro ultimo incontro.

Nel rispetto delle persone, però, che con me hanno lavorato in questi anni e per evitare che la mia persona possa in qualche modo ritardare, danneggiare o addirittura bloccare quanto già stabilito del Motu Proprio "L'attuale contesto comunicativo" del 27 giugno 2015, e soprattutto, per l'amore alla Chiesa e a Lei Santo Padre, Le chiedo di accogliere il mio desiderio di farmi in disparte rendendomi, se Lei lo desidera, disponibile a collaborare in altre modalità.

In occasione degli auguri di Natale alla Curia nel 2016, Lei ricordava come "la riforma sarà efficace solo e unicamente se si attua con uomini 'rinnovati' e non semplicemente con 'nuovi' uomini. Non basta accontentarsi di cambiare il personale, ma occorre portare i membri della Curia a rinnovarsi spiritualmente, umanamente e professionalmente. La riforma della Curia non si attua in nessun modo con il cambiamento 'delle' persone - che senz'altro avviene e avverrà - ma con la  conversione e 'nelle' persone".

Credo che il "farmi in disparte" sia per me occasione feconda di rinnovamento o, ricordando l'incontro di Gesù con Nicodemo (Gv 31,1) [sic - capitolo inesistente], il tempo nel quale imparare a "rinascere dall'alto". Del resto non è la Chiesa dei ruoli che Lei ci ha insegnato ad amare e a vivere, ma quella del servizio, stile che da sempre ho cercato di vivere.

Padre Santo, La ringrazio se vorrà accogliere questo mio "farmi  in disparte" perché la Chiesa e il suo cammino possa riprendere con decisione guidata allo Spirito di Dio.

Nel chiederLe la sua benedizione, Le assicuro una preghiera per il suo ministero e per il cammino di riforma intrapreso.

Dario E. Viganò

 

Reverendissimo Signore
Mons. Dario Edoardo Viganò
Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede

Città del Vaticano, 21 marzo 2018

Reverendissimo Monsignore

A seguito dei nostri ultimi incontri e dopo aver a lungo riflettuto e attentamente ponderate le motivazioni della sua richiesta a compiere "un passo indietro" nella responsabilità diretta del Dicastero per le comunicazioni, rispetto la sua decisione e accolgo, non senza qualche fatica, le dimissioni da Prefetto.

Le chiedo di proseguire restando presso il Dicastero, nominandola come Assessore per il Dicastero della comunicazione per poter dare il suo contributo umano e professionale al nuovo Prefetto al progetto di riforma voluto dal Consiglio dei Cardinali, da me approvato e regolarmente condiviso. Riforma ormai giunta al tratto conclusivo con I'imminente fusione dell'Osservatore Romano all'interno dell'unico sistema comunicativo della Santa Sede e I'accorpamento della Tipografia Vaticana.

Il grande I'impegno [sic] profuso in questi anni nel nuovo Dicastero con Io stile di disponibile confronto e docilità che ha saputo mostrare tra i collaboratori e con gli organismi della Curia romana ha reso evidente come la riforma della Chiesa non sia anzitutto un problema di organigrammi quanto piuttosto l'acquisizione di uno spirito di servizio.

Mentre La ringrazio per l'umiltà e il profondo "sensus ecclesiae", volentieri la benedico e la affido a Maria,

Francesco


Tuesday, March 20, 2018

Invito alla lettura?

Una buona domanda che tutti gli interpreti ragionevoli della lettera (completa) dovrebbero farsi è questa: "Ma Ratzinger, in quella sua non-recensione, ha invitato a leggere quei volumetti o a non leggerli?" ;)

Monday, March 19, 2018

Continuità?


The answer to the question about the theological continuity between John Paul II, Ratzinger and Francis will depend mostly on what is going to happen to the interpretation of Humanae Vitae.

La continuità teologica tra Giovanni Paolo II, Ratzinger e Francesco si giocherà soprattutto su cosa succederà all'interpretazione di Humanae Vitae

Sunday, March 18, 2018

Two new versions of the letter? - Due nuove versioni della lettera?

The reason why there have been two “new” versions of the letters in the news these days requires to review the main events of the story:

1) At the first press conference, in which the letter was mentioned, the copy physically given to the journalists was missing two parts, (a) the one about Ratzinger not having time or interest in writing the review, and (b) the one about the bad theologian;

2) However, even if the journalists received in their hands the incomplete version, Viganò read the letter aloud at the press conference, including the (a) first missing piece but not (b) the second.

3) The Italian journalist Magister wrote down the part that Viganò read, and published what he thought was the full version of the letter (this is the first version we could read in his blog).

4) At this point, someone at the Vatican told other news agencies (Ansa, if I remember correctly) that there was no lie in the story because Viganò had read the full text during the press conference.

5) Then, the other missing piece came out and Magister published in his blog the complete version (at least, so far…) of that letter. This is the second version we could read in his blog and the media, which corresponds to the one that now the Vatican has released.

It has been very hard for the Vatican professional communicators to finally tell the truth.


IN ITALIANO:

1) Alla prima conferenza stampa, in cui è stata citata la lettera, la copia fisicamente data ai giornalisti era priva di due parti: a) quella in cui Ratzinger diceva di non aver tempo o interesse per scrivere la recensione, e b) quella sul cattivo teologo.

2) Tuttavia, anche se i giornalisti hanno ricevuto nelle loro mani la versione incompleta, Viganò lesse la lettera ad alta voce, includendo il primo pezzo mancante “a” ma non il secondo “b”.

3) Magister prese appunti sulla parte che Viganò lesse e pubblicò quella che pensava fosse la versione completa della lettera (questa è la prima versione che si è potuta leggere nel suo blog e che ha consentito di discutere di quanto successo).

4) A questo punto, qualcuno in Vaticano disse ad altre agenzie di stampa (l’Ansa, se ricordo bene) che non c'era alcuna bugia perché Viganò aveva letto il testo completo durante la conferenza stampa.

5) Poi, venne fuori il secondo pezzo mancante e Magister pubblicò nel suo blog la versione completa (almeno, finora...) di quella lettera. Questa è la seconda versione che si è potuto leggere nel suo blog e che corrisponde a quella che ora il Vaticano ha ufficialmente dato ai giornali.


In sostanza, è stato molto difficile per i comunicatori professionisti vaticani dire infine la verità sul testo della lettera.


Benedetto XVI:


"Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative anti-papali. Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della "Kölner Erklärung", che, in relazione all’enciclica "Veritatis splendor", attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la "Europäische Theologengesellschaft", che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale. In seguito, il sentire ecclesiale di molti teologi ha impedito quest’orientamento, rendendo quell’organizzazione un normale strumento d’incontro fra teologi."


"Just as a side note, I would like to mention my surprise at the fact that the authors also include Professor Hünermann, who during my pontificate put himself in the spotlight by heading anti-papal initiatives. He participated to a significant extent in the promulgation of the “Kölner Erklärung,” which, in relation to the encyclical “Veritatis Splendor,” attacked in a virulent manner the magisterial authority of the pope especially on questions of moral theology. The Europäische Theologengesellschaft, which he founded, also was initially designed by him as an organization in opposition to the papal magisterium. Afterward, the ecclesial sentiment of many theologians blocked this tendency, making that organization a normal instrument of encounter among theologians" (Benedict XVI - translation from Sandro Magister blog)

An anti-pope in continuity? - Un anti papa in continuità?


So, let me get this right. One of the authors of the multi-volume work that the Vatican wants to use to celebrate Pope Francis’s theology is a strong anti-previous-popes fanatic, who, interestingly enough, was obsessed against Veritatis Splendor and Saint John Paul II and Benedict XVI’s magisterium in moral theology. So, two questions follow: 1) How can such a multi-volume work be reliable concerning the continuity between the Popes? 2) How can the project of this work itself be considered in continuity if it involved inviting authors who hated the previous Popes and their magisterium?

Cioè, fatemi capire. Uno degli autori del lavoro in più volumi che il Vaticano vuole utilizzare per celebrare la teologia di Papa Francesco è un forte fanatico anti papi precedenti, che, curiosamente, era ossessionato dall’opposizione a Veritatis Splendor e al magistero morale di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Due domande sono d’obbligo: 1) Come può questo lavoro in più volumi essere affidabile sulla continuità tra i Papi? 2) Come può il progetto stesso di questo lavoro essere considerato in continuità se chiama a parteciparvi autori che odiavano i Papi precedenti e il loro magistero?

Lettera manomessa?

Riprendo un mio commento ad un altro post che ho scritto su Facebook sui dubbi di molti relativi ad una possibile manomissione della lettera di Ratzinger. Sinceramente, credo che se fosse manomessa Ratzinger sarebbe intervenuto. L'apparenza di manomissione secondo me si chiama in tre modi: 

1) Stile di chi risponde velocemente e privatamente alla richiesta di scrivere una recensione; 

2) Stile di benevolenza con cui scrive una lettera di rifiuto; 

3) Stile diplomatico di comunicazione di un papa emerito rispetto a qualcosa che concerne il nuovo papa. 

Insomma, anche se adesso qualcuno mi mandasse un libro di cui non mi interessa assolutamente nulla, dicendomi che è frutto del suo lavoro di servizio alla verità e chiedendomi di recensirlo. Io gli risponderò in modo educato dicendogli: "Grazie mille. Ho visto la sua opera, degna di attenzione. Continui a servire la verità con la sua attività di studioso. Mi dispiace però ma per altri impegni non posso scrivere la recensione." Se io scriverei più o meno così, figuriamoci un papa emerito. Si consideri poi che, a meno di guerra aperta o di dichiarazioni formali di discontinuità, sottolineare le continuità tra i papati è una forma di cortesia e correttezza pastorale. Fino a prova contraria (che non c'è in modo formale in nessun modo) bisogna tentare di interpretare il magistero dei diversi Papi in armonia e continuità. È quello che stanno cercando di fare in molti anche con AL, evitando il più possibile fratture. Infine, ci sarebbe proprio da leggere la lettera di richieste. È assolutamente cruciale che Ratzinger sottolinei, non soltanto la competenza teologica di Francesco ma anche la propria competenza pastorale. In altre parole, è probabile che l'abile scrittore della lettera in cui si chiedeva la recensione a Ratzinger abbia usato l'arma retorica del combattere un comune nemico. Cioè, che abbia detto qualcosa del tipo: "Caro Ratzinger, guarda, è triste che tutte queste persone continuino a dire che Francesco è un ignorante e tu un incapace come pastore. Vogliamo dare un segnale per fare smettere questa cosa?" Il comune nemico unisce. Vecchia strategia... Ecco, se mettiamo insieme tutti questi elementi, la lettera di Ratzinger assume un colore decisamente comprensibile e ragionevole. Ma si coglia anche in tutta la sua forza l’unica cosa che scrive sul merito dei volumetti e sul quell’autore di cui dice che “attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa”.

Saturday, March 17, 2018

Bugie


«Esistono cinque categorie di bugie: la bugia semplice, le previsioni del tempo, la statistica, la bugia diplomatica e il comunicato ufficiale».

George Bernard Shaw

  Coordinamento 15 Ottobre. d S   9   2 3 0 l 9 e g a   a i u 1 h g 0 l l 1 e o 2 m r 7 g : 3 0   f o    ·  Oggi è un giorno importantissimo...